Read Ritual Online

Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

Ritual (9 page)

«Impressionante,» osservò Devlin facendo un mezzo giro su se stesso.

«È di Grace Mallory. Parecchi anni fa apparteneva a una certa Margaret Mead.»

«Potrebbe darmi qualche idea sull'importanza della dottoressa Mallory all'interno del museo?» chiese Devlin.

La ragazza scosse la testa. «Vorrei che ne avesse,» replicò. Non solo per Grace, ma anche per me, pensò. «No, temo che i musei, come le università, siano dominati dagli uomini. Margaret Mead, per esempio, fu nominata curatore del settore etnologico solo nel 1964, sebbene fosse una studiosa affermata in tutto il mondo da più di trent'anni. In quel periodo insegnava anche alla Columbia e non è mai andata oltre il grado di docente aggiunto.» Fece una pausa, poi, quasi parlando a se stessa, riprese: «Ma per la dottoressa Mallory le cose potrebbero andare diversamente, soprattutto se la mostra tolteca avrà il successo che prevediamo.»

Devlin la guardò appollaiarsi sul bordo della scrivania e incrociare le gambe che, pensò lui, avrebbero fatto la gioia di qualsiasi modella. Sebbene ancora palesemente nervosa, la Silverman pareva avere riacquistato l'autocontrollo, dopo la sconvolgente scoperta dell'offerta votiva.

Sollevò gli occhi e si accorse che lei lo stava guardando con aria incuriosita. Certo, si disse, si era accorta che le sbirciava le gambe. «Perché dà tanta importanza alla mostra?» domandò.

«Oh, forse è perché lo desidero. Ma chissà...» Di nuovo sembrò che Kate stesse parlando a se stessa.

«Perché 'chissà'?»

La domanda sembrò riportarla bruscamente alla realtà. Sbatté le palpebre più volte e lo guardò come sorpresa di vederlo lì.

«Grace e io abbiamo avuto parecchie discussioni in merito alla mostra,» disse, rimettendosi in piedi. «Io ero stata incaricata dell'aspetto promozionale e lei disapprovava molte delle mie decisioni. La conferenza, per esempio. E l'accordo con il movimento di assistenza profughi. Era dell'avviso che stessi esagerando nell'intento di risvegliare l'interesse dell'opinione pubblica e che il livello qualitativo avrebbe finito per soffrirne.» Un brivido la attraversò. «Temo che il vostro omicidio contribuirà a peggiorare le cose.»

«Ma lei è tuttora convinta di avere avuto ragione, giusto?»

«Sì.» Negli occhi di Kate c'era una luce decisa che lo stupì. Una sorta di durezza che non aveva notato fino a quel momento.

«Vede, agente Devlin,
viviamo
nell'epoca del sensazionalismo. Libri, film, tutto quanto. E anche i musei devono tenere il passo.» Si avvicinò lentamente a una delle finestre che davano su Central Park. «Ma per capire quello che le sto dicendo deve saperne un po' di più sulle mostre,» continuò. «Prima cosa, sono maledettamente costose. Bisogna radunare i reperti prendendoli da altri musei, da altri curatori, perfino da altre nazioni. Dopodiché devono essere imballati e spediti secondo regole ben precise, con dei costi assicurativi da togliere il fiato. Una grande mostra può costare anche milioni.» Si voltò e tornò verso di lui. «È chiaro quindi che le istituzioni che vi collaborano vogliono recuperare il denaro, e per farlo trasferiscono la mostra ad altri musei, naturalmente dietro compensi salatissimi. Se la mostra ha successo, se attira la gente... be', allora non c'è problema, i soldi arrivano. Ma in caso contrario...» Si strinse nelle spalle.

«Ma non è certo il destino di tutte le mostre,» tentò vagamente di confortarla Devlin.

Kate tornò ad appoggiarsi alla scrivania. «Ricorda quella dedicata a Re Tut, un paio di anni fa?»

Lui annuì.

«Be', aveva tutti i requisiti per suscitare l'interesse e il Metropolitan non ha ancora smesso di contare i soldi che ci ha guadagnato. Poi, pochi mesi dopo la sua apertura, il Brooklyn Museum organizzò un'altra mostra sulla Nubia, qualitativamente molto, molto superiore. Ma non c'erano gli elementi giusti, non c'era
glamour
,
e il Brooklyn ci ha perduto milioni.»

«E se una mostra ha entrambe le cose? Voglio dire,
glamour
e un ottimo livello culturale?»

Kate scosse la testa, con un po' di tristezza, parve a Devlin.

«Allora il sogno diventa realtà e le persone che l'hanno organizzata diventano molto, molto importanti.»

Devlin si accostò a un lungo tavolo e impugnò un'ascia di bronzo dall'intaglio complesso. «Sa, mi ha appena illustrato un ottimo motivo per questo omicidio,» commentò. «Se risulterà che è effettivamente collegato alla vostra mostra, la gente farà a pugni per entrare.»

Kate lo fissò, un bagliore di collera negli occhi. «E se uno dei conservatori venisse sacrificato l'effetto sarebbe ancora più dirompente, giusto?»

Devlin non si scompose, ma prese atto della rabbia e della paura che leggeva sul viso di lei. «Faremo in modo che questo non accada,» disse alla fine.

 

In piedi davanti alla finestra, Kate ripensava alle ultime parole di Devlin. «Faremo in modo che questo non accada,» aveva detto, e poi se n'era andato. Chiuse gli occhi e trasse un profondo sospiro. Ovviamente lui aveva voluto dire che avrebbero trovato l'assassino, non certo che l'avrebbero protetta, eppure avrebbe potuto almeno offrirsi di accompagnarla a casa. Scosse la testa, irritata soprattutto con se stessa per essersi lasciata intimorire dall'offerta votiva. In fondo non era che una delle piume del mantello cerimoniale che aveva indossato durante la cerimonia. Si trattava di uno scherzo; non poteva essere diversamente. Ma la donna uccisa nel parco non era uno scherzo.

Rabbrividì e cercò di scacciare quel pensiero. Colpa di quel poliziotto, Devlin, si disse. Non le era sembrato il tipo protettivo. Non come l'altro. Rolk.

Stanislaus Rolk. Lo ripeté più volte tra sé, un nome strano per un uomo ancora più strano. Ma anche attraente. Si chiese quanti anni avesse. Di sicuro più di quarantacinque, ma d'altra parte parecchie sue amiche non uscivano forse con uomini molto più anziani di loro? Scosse di nuovo la testa. Ti stai comportando in modo ridicolo, si rimproverò. Un pazzo minaccia di fare di te una vittima sacrificale, e te ne stai qui a fantasticare su un tenente di polizia che hai conosciuto ieri sera e a chiederti se non è troppo vecchio per te. Dio, questa storia è davvero pazzesca; ti ha terrorizzata e questa è l'ultima cosa che deve succedere. Concentrati sul lavoro, piuttosto, sulla carriera per cui hai tanto lottato. La carriera che potrebbe andare in fumo mentre perdi tempo qui a rivangare le tue paure e a sognare di un uomo che quasi non conosci.

Si passò una mano tra i capelli mentre si allontanava dalla finestra. Prese l'ascia di bronzo rimasta sulla scrivania di Grace Mallory e la depose con cura in una ventiquattrore. Il reperto doveva tornare al Metropolitan in mattinata e prima sarebbe dovuta passare dalla biblioteca per prendere la documentazione relativa. Tanto vale farlo subito, decise.

Si ficcò la valigetta sotto il braccio, premendola contro il fianco. L'ascia l'aveva appesantita molto. L'assassino aveva usato un'ascia. Quel pensiero le strappò un brivido mentre lasciava l'ufficio e si dirigeva verso la scalinata che portava alla biblioteca.

Entrò nell'ampia sala gotica, discretamente collocata all'ultimo piano del museo. Anni prima la vecchia biblioteca era stata sostituita da una più spaziosa e moderna situata in una delle ali nuove dell'edificio e ora il vecchio locale era utilizzato per conservare la documentazione relativa alle mostre in preparazione.

Kate posò la valigetta su un ampio tavolo da lavoro e salì la scala a chiocciola che portava all'ammezzato, dov'erano impilate cataste di libri e fogli. Attraverso il pavimento di spesse mattonelle quadrate di vetro la luce saliva dalla sala inferiore con un effetto alquanto bizzarro.

Metodicamente Kate cominciò a selezionare i documenti che le erano necessari e li portò a un tavolino spinto contro la parete. Lì cominciò a esaminarli pagina per pagina, prendendo qua e là qualche appunto, concentrandosi completamente nel lavoro. Grace era una donna esigente, ma a Kate andava bene così. Avrebbe solo desiderato che riuscissero a dimenticare l'amarezza affiorata in quelle ultime settimane e che si avvicinassero un po' di più l'una all'altra. Grace poteva insegnarle tante cose, se solo acconsentiva a diventare il suo mentore.

Un rumore dal basso le strappò un sussulto. Sembrava il fruscio di una porta chiusa con cautela. Rimase in ascolto, cercando di individuare altri suoni ma, non udendo più nulla, tornò ad abbassare la testa. E allora lo sentì di nuovo, appena un poco più percettibile. Un suono basso, sibilante, come se qualcuno avesse difficoltà a respirare. Si accostò alla balaustra e guardò giù, ma il rumore era cessato.

«C'è qualcuno là?» gridò. «Ehi!»

Ecco per la terza volta quello strano fruscio. Kate si afrrettò giù per le scale, oltrepassò il tavolo su cui aveva lasciato la valigetta e andò alla porta. Era chiusa; in biblioteca non c'era nessuno a parte lei. Si voltò a guardarsi alle spalle, frugando con gli occhi in ogni angolo, scrutando ogni ombra. Niente, nessuno. Fece per tornare alle scale, ma si fermò di colpo, lo sguardo puntato sul tavolo: accanto alla ventiquattrore adesso c'era un foglio di carta e su di esso, proprio al centro, una grande piuma rossa e iridescente.

Tremando in tutto il corpo, si avvicinò e lesse il messaggio scritto in lettere maiuscole: PRESTO SARAI CON GLI DEI. NON PERCHÉ SEI MALVAGIA, MA PERCHÉ SEI MERAVIGLIOSA.

 

8

 

La stanza era debolmente rischiarata da un'unica lampada da tavolo. La carta da parati, il tappeto, il mobilio pesante, tutto era vecchio e consunto, e a Rolk vennero in mente i salottini che aveva visto in certe antiquate imprese di pompe funebri, stanze che avrebbero dovuto comunicare un senso di calore e intimità, ma che riuscivano a essere solo tetre e deprimenti.

La governante lo aveva pregato di attendere mentre andava a cercare padre Lopato. Aveva usato la parola «cercare» come se il sacerdote si fosse nascosto da qualche parte e lei disapprovasse qualunque cosa facesse in privato. Rolk abbozzò un sorriso. Il fatto è che vivi solo da troppo tempo, si disse. E ciò porta a diffidare delle donne che si occupano della casa di un uomo solo.

Entrò padre Joseph Lopato, infagottato in una tonaca troppo grande per lui. Era un uomo sparuto, sulla quarantina, con i capelli prematuramente bianchi; gli occhi infossati brillavano nel viso scuro. Ma fu un altro particolare a colpire Rolk. Gli sembrava di non aver mai visto un'espressione più triste. Eppure... si trattava davvero di tristezza? Forse il viso del sacerdote esprimeva solo rimpianto.

«La governante mi ha detto che è un tenente di polizia,» esordì padre Lopato, ignorando le consuete formule di saluto. «In che cosa posso esserle utile?»

«Sto indagando su un omicidio,» spiegò Rolk.

«Uno dei nostri parrocchiani?»

«No. Una giovane donna che è stata uccisa ieri sera non lontano dal Metropolitan Museum.»

«Mi dispiace, ma oggi non ho letto il giornale. Quando lavoro tendo a dimenticarmi del resto.» Si agitò sulla sedia. «Ma non capisco. Che legame può esserci fra questo omicidio e la nostra parrocchia?»

«Nessuno,» rispose Rolk. «Il legame è con lei, padre. Indirettamente, perlomeno.» Lo guardò protendersi in avanti, un'espressione incuriosita sul viso. «La vittima è stata uccisa in modo molto brutale,» continuò. «Le è stata tagliata la testa, apparentemente quando era ancora viva... forse addirittura cosciente... e sembra che le armi usate risalgano all'epoca dei maya.»

«Buon Dio.» Padre Lopato era impallidito di colpo ma tentò di riacquistare il controllo. «E naturalmente lei ha scoperto che io ho prestato alcune armi antiche al museo.»

Rolk lo fissò con occhi freddi, senza simpatia. «La questione è un po' più complessa. Siamo convinti che la donna abbia partecipato alla conferenza di ieri, che a quanto ci risulta si proponeva anche di raccogliere fondi per un'organizzazione di assistenza ai profughi da lei patrocinata.»

Il sacerdote annuì appena. «Mi parli dell'omicidio,» lo sollecitò.

«Non sono autorizzato a dirle molto. Ma posso assicurarle che presenta singolari analogie con il sacrificio rituale illustrato dalla dottoressa Silverman.»

«Non può esserne certo!»

Le mani, notò Rolk, avevano cominciato a tremargli. «Sì che posso, padre. C'ero anch'io alla conferenza e ho visto il luogo del delitto. Quindi, capisce, non è solo la sua collezione a interessarmi, ma anche chiunque, a New York, sia in qualche modo legato all'antica religione tolteca.»

Il religioso lo guardò, ammiccò più volte, poi abbozzò un sorriso stanco. «Capisco,» assentì. «Sta cercando di dirmi in modo cortese che io e gli sfortunati indigeni che cerco di aiutare siamo sospetti.»

«Non c'è tempo per la cortesia, padre. Ho bisogno di risposte. Vogliamo cominciare con la sua collezione di armi antiche?»

Il sorriso sbiadì, poi riapparve, come se il sacerdote si fosse ricordato di
dover
sorridere. «Non mi limito a collezionare armi, tenente. Sono un antropologo e un gesuita. Noi siamo gli eruditi del mondo religioso, il nostro ordine ci permette di dedicare molto tempo agli studi che prediligiamo.» Si appoggiò allo schienale della sedia, un'espressione remota negli occhi. «Ho lavorato in Messico... nello Yucatán... prima come studente, poi come sacerdote, per dodici anni. In questo arco di tempo ho messo insieme un notevole assortimento di manufatti, armi e, soprattutto, oggetti legati ai riti religiosi toltechi e aztechi, con particolare riferimento a Quetzalcoatl. Era una divinità tolteca, o forse 'profeta' è il termine migliore, il cui culto, secondo alcuni, presenta molte affinità con il cristianesimo.» Si alzò bruscamente. «Ma sarà meglio che le mostri la mia raccolta. Ho allestito una specie di stanza da lavoro nel seminterrato e vi conservo delle armi che certamente le interesserà vedere.»

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